17 Ottobre 2019

Il volontariato in Kosovo, il racconto di Michele

“Un lungo viaggio prima di arrivare, circa 250 Km partendo da Tirana. Un paesaggio montuoso non ci abbandona mai lungo la nuovissima Autostrada A1 che collega la città di Durazzo al confine con il Kosovo. Conosciamo Massimo, la persona che gestisce la Casa-famiglia e la Cooperativa a Leskoc. Ci dice che prima avremmo impiegato circa 14 ore per lo stesso tragitto. Arriviamo alla frontiera...Tutto bene, basta dire: “Caritas Italia”! E il viaggio prosegue...Una giornata bellissima, un sole stranamente caldo e luminoso non fa che accentuare il verde intenso del paesaggio.

Abbiamo subito la percezione di aver incontrato un “Grande Uomo”. Massimo, che con la sua infinita calma, e voce quasi impercettibile, è un pozzo inesauribile di informazioni. Avidi di “sapere”, lo tempestiamo di domande alle quali non smette mai di rispondere, anzi, sembra quasi provare piacere a raccontarci minuziosamente i vari dettagli. Il quadro generale inizia ad essere confuso. Non percepisco più i contorni e i colori che diventano sempre più sfocati. Ma come possono coesistere tanti scenari tutti diversi e tutti insieme qui in Kosovo? I colori del tramonto si mischiano con lo sfondo celeste del cielo e ci accompagnano negli ultimi chilometri. 

Arriviamo all’imbrunire. Un’imponente struttura a forma di U si erge innanzi a noi. Nel patio, un giardino estremamente curato dona una ventata di freschezza. Due adolescenti, Arian e Ardit ci accolgono divertiti con un perfetto italiano. All’ingresso, un enorme salone con vetrate.

È subito ora di cena e abbiamo modo di conoscere tutti. La Famiglia è numerosa! I più “piccoli” sono i primi a farsi avanti e iniziano i primi contatti. Conosciamo anche Cristina, la moglie di Massimo, che insieme e con duro lavoro sono riusciti a realizzare un arduo progetto. Non posso non notare la pulizia e l’ordine. Lunghi corridoi, stanze ricreative, miniappartamenti e una torre dove hanno le stanze le ragazze, costituiscono lo scheletro della struttura. Nel seminterrato un laboratorio per la trasformazione del latte e un panificio. Adiacente alla struttura un campetto da calcio e uno da basket. Ma era questo quello che mi aspettavo di trovare? Perché mi domandavo se era “troppo” o se era giusto? “Troppo” rispetto a cosa? Per quale motivo non avrebbe dovuto essere stato giusto?Perché in Italia posso avere una cosa “bella” ma non in Kosovo? Questi gli interrogativi della prima notte... 

Il mattino seguente il sole irradiava l’altopiano e i monti circostanti completavano lo scenario quasi da cartolina. Intorno campi di granoturco pronto per la raccolta e campi recentemente arati per le nuove semine. Un’ondata di energia positiva attraversa il mio corpo! La colazione è pronta! Rimango stupito di come ognuno contribuisce a rimettere tutto in ordine appena finito di mangiare. Dai più piccoli ai più grandi, non ci sono sconti per nessuno! Ognuno con il suo ruolo e senza lamentarsi! In poco tempo tutto è in ordine e pulito come prima. Via! Le ultime cose e si parte per la scuola!

Il miraggio svanisce non appena, insieme a Massimo, andiamo a consegnare gli aiuti alimentari alle famiglie meno fortunate. Abbiamo modo di entrare nelle case e renderci conto dell’assenza di servizi come riscaldamento ed acqua corrente, di come tutti insieme dormano in una unica stanza senza letti riscaldata da una stufa a legna, della scarsità di igiene e, in alcuni casi, di come persone con problemi mentali siano emarginate dalla società e senza nessun tipo di aiuto dallo Stato. 

Può la bellezza aiutare a “guarire”? Possono luci e colori contribuire al processo e influenzare l‘animo della persona? Mi rendo conto di come anche un ambiente sereno, bello e pulito possa contribuire al benessere psicofisico di ragazzi che hanno vissuto traumi così forti e che in alcuni casi ancora vivono gravi situazioni di disagio. La “bellezza” come tanto fare “cose belle”, sia per sé stessi che per gli altri, è parte del processo di autorealizzazione e inserimento nella società. Aiuta a gettare un nuovo seme e assicurarsi che la pianta continui a crescere rigogliosa nel tempo. 

Grazie Massimo e Cristina per l’amore incondizionato che provate e per aver restituito un “nido” e una dignità a tutti!”

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